Ho trovato stimolante la riflessione di Jones Reverberi apparsa sulla Gazzetta che, tra le altre cose, si chiedeva: “A che serve avere le scuole più belle del mondo, a che serve celebrare i 100 anni dalla nascita di Loris Malaguzzi e di Gianni Rodari se poi tutto ciò non partorisce idee in grado di dare un contributo alla città, alle famiglie, al paese intero, al governo per suggerire proposte, sperimentare con coraggio percorsi educativi innovativi che per brevità definirei anti-covid». Quest’anno io avevo una classe prima: bambini di sei anni. Come tutti i docenti della scuola pubblica ho cercato di fare il possibile con la scuola a distanza, ma con bambini di 6 anni, caro Jones, è veramente difficile, e spesso mi sono chiesto se era meglio fare o non fare quelle lezioni on line. Ho avuto anche bambini che si rifiutavano di parlare di fronte alla webcam. E comunque. nessuno di loro aveva la privacy necessaria: i genitori erano necessariamente di fianco, accanto al computer. Quando la scuola è fatta, tra l’altro, proprio per allontanare momentaneamente i bambini dalle figure genitoriali, specie la madre, per alcune ore al giorno: così si promuove l’autonomia e si cresce. Insomma, credo che anche il silenzio di Reggio Children, sia stato qualcosa di più intelligente e saggio di tante parole che ho sentito dire in questi mesi sui giornali a proposito di DaD e bambini: tipo presidi reggiani che sostenevano come, grazie al Covid-19, avessimo dato improvvisamente la possibilità ai bambini di 6 anni di apprezzare la bellezza del web e delle nuove tecnologie. Balle o poco più, credimi.
Trovo il tuo intervento più interessante, caro Jones, quando parli dell’accordo del comune capoluogo con 50 enti e organizzazioni per allestire i campi estivi, alcuni anche per piccoli fino a 6 anni, mentre le scuole sono chiuse; e qui tocchi il tema della privatizzazione.
Forse non sai che anche nella scuola statale e anche negli asili comunali lavorano ormai tanti educatori provenienti da cooperative sociali/educative (sottopagati: 800 euro rispetto ai 1500 di un docente di ruolo), che sono esattamente funzionali alle mancanze delle istituzioni.
Il caso eclatante è quello dei docenti di sostegno: lo stato ne fornisce la metà, l’altra metà gli enti sociali, i comuni, cioè, appoggiandosi a cooperative convenzionate, cioè a privati.
Mi chiedo: non è che in questo modo, proprio noi emiliani che per decenni siamo stati a favore della scuola pubblica, promuoviamo la scuola privata?
Anche in Reggio Children, mi risulta che da anni, dietro il silenzio, ci sia un acceso e profondo dibattito in corso: chi la vede come un’istituzione tipo l’Unicef (io tra questi) e chi ne vuole fare una scuola privata a pagamento (ricordiamo che a New York o a Pechino per frequentare le scuole targate Reggio Approach, i bambini pagano 30/40.000 euro all’anno; e se i nostri bambini pagano solo 6/700 euro al mese, è perché il nostro Comune ogni anno spende 16 milioni di euro (presi dalle tasse) che vanno solo per la fascia 0-6 anni.
A me, lo confesso, non dispiace che ci sia un impegno così forte per l’infanzia della mia città, e ne sono orgoglioso; i soldi per i bambini e i ragazzi, mi pare siano sempre i soldi spesi meglio. Ma credo anche che la storia dei nostri asili appartenga a tutta la comunità e non a una fondazione o a dei privati. E soprattutto, sia una storia di donne che lottavano per una scuola laica, moderna, per tutti e gratuita. E questo elemento della gratuità, per me, almeno per la scuola dell’infanzia e dell’obbligo, è decisivo. Non hanno, quelle donne, lottato per una scuola di élite o per chi solo poteva permetterselo, per questo mi schiero senza indugio verso un Reggio Children tipo Unicef e diffido di chi, con una scuola, vuole fare affari: gli affari si fanno meglio con altre robe, che le scuole.
Insomma, caro Jones, se vuoi suonare veramente la sveglia, parliamo di questo e non di Coronavirus: tu da che parte stai? Quello che io mi auguro è che una volta finita l’emergenza, ci si ricordi che sicurezza e salute pubblica riguardano tutti gli ambiti: anche quello sociale e psico-pedagogico, anche quello educativo, anche bambini e ragazzi. E si possa rallentare, fermare o invertire il processo di indebolimento di sanità e scuola pubblica in atto da decenni attraverso una loro progressiva regionalizzazione, esternalizzazione, privatizzazione a ditte private o cooperative, che sembra preludere – anche in una regione come l’Emilia Romagna – a un loro graduale smantellamento, a un ulteriore peggioramento delle condizioni di chi ci lavora, a una progressiva diminuzione delle tutele nell’educazione e nella cura dei minori.
Articolo pubblicato sulla del 14 Giugno 2020