Da tempo i docenti italiani hanno capito che l’autonomia scolastica è soprattutto anarchia. Un modo per disgregare progressivamente la scuola pubblica, diminuirne gli investimenti,disfarsene, sbolognarla ad enti locali sempre più poveri o assoggettarla ad aziende private presenti sul territorio. Durante la pandemia l’anarchia scolastica ha raggiunto livelli apocalittici.
Mancano direttive comuni da parte di Miur, uffici regionali, tavoli provinciale dei presidi. Ogni scuola procede in ordine sparso. Appassionatamente. Ma questo è il problema minore.
La DaD non arriva a tutti allo stesso modo: per gli alunni della primaria richiede necessariamente la forte presenza dei genitori.
I bambini delle prime classi sono i più disorientati, insieme a quelli con disabilità o disturbi dell’attenzione: è già difficile coinvolgerli in presenza, figurarsi attraverso una comunicazione virtuale!
Per chi ha difficoltà strumentali, difficoltà di relazione, limiti cognitivi o psichici, non avere accanto chi gli propone contenuti e attività è un ostacolo spesso insormontabile.
Eppure tra i docenti si è già diffuso un nuovo virus: quello da ansia da prestazione.
Sui giornali e in tv ci sono maestre e presidi che sostengono come gli studenti italiani, – anche i bambini di 4 o 5 anni delle scuole materne o di 6 e 7 anni della scuola primaria, – grazie al Covid 19 abbiano avuto l’opportunità di scoprire la modernità, la bellezza e le potenzialità del digitale. Insomma, per la scuola e gli studenti il Covid 19 sarebbe una grande fortuna! Una meravigliosa opportunità per entrare finalmente nel futuro!
Chiacchiere.
Vi dirò un segreto: spesso le maestre sono chiacchierone.
Ve ne dirò un altro: spesso alcune presidi lo sono ancora più delle maestre.
Colleghe, colleghi, un po’ di contegno, diamine!
Non chiamiamola didattica a distanza, ma didattica di emergenza o di guerra.
Soprattutto, non chiamiamola scuola a distanza: perché non lo è.
La scuola è una cosa seria, si fonda sull’unità costante di tempo e di luogo e su un quotidiano rapporto corpo a corpo tra docenti e studenti. Affascinante, delicato, difficile, straordinario.
Una delle sue funzioni è proprio allontanare per qualche ora al giorno il bambino dai genitori, in particolare dalla madre: solo così il bambino aumenta la sua autonomia e può crescere.
Insieme ai coetanei.
In gruppo.
Affrontando e gestendo un insieme complesso di emozioni, conoscenze e relazioni intrecciate tra loro in modo indissolubile.
La DaD non funziona perché parte dal presupposto che ogni docente e ogni studente abbiano a disposizione la tecnologia necessaria per attuarla.
Ma questa tecnologia non è un bene pubblico, come accade per i banchi, le lavagne o le aule scolastiche. E’ un bene privato.
Chi non ne dispone, è tagliato fuori.
Del resto anche le piattaforme che il Miur consigliata ai docenti per le lezioni a distanza sono tutte private, perché attualmente in Italia non esiste alcuna piattaforma pubblica per la scuola. E’ questo, vedremo più avanti, non è un problema da poco.
La DaD non funziona perché nuoce gravemente alla salute di tutti. In particolare dei più giovani. E tra loro, dei più fragili e in difficoltà.
Il suo uso smodato e compulsivo promuove l’idea errata che la formazione e la conoscenza siano merci che si possano impacchettare, comprare con un clic e farsi spedire a casa con Amazon o Alibaba. Un’idea che forse può far piacere a un mercato interessato a vendere sempre di più senza chiedersi neppure cosa vende, ma non a chi vuole bene ai propri figli o ai propri studenti. Perché formazione e conoscenza sono un processo lungo e intimo, non un prodotto da impacchettare, prezzare e spedire a un cliente.
Quale è l’idea di conoscenza e formazione che la DaD non può dare?
Quella vera: di un’elaborazione in costante divenire. Una conquista che si ottiene attraverso studio, impegno, ricerca. Una capacità di osservare e interagire in modo diverso non solo con la realtà, ma anche con le sue rappresentazioni, e perciò anche con idee e sentimenti: i nostri, degli altri.
Se la conosci, la DaD la eviti.
O ne fai uso a piccole, piccolissime dosi.
O rischi di drogare i bambini, cioè di fargli più male che bene.
Pensateci: esiste esperienza più distopica e dispotica della DaD?
E poi, scusate, possibile che prima del Covid 19 si diceva che l’esposizione prolungata a uno schermo poteva creare danni a bambini e ragazzi e ora anche noi adulti, – come istituzione scolastica, addirittura! – li costringiamo a starci per ore e ore?
Avevamo ragione prima o abbiamo ragione ora?
Quale è la verità?
Articolo pubblicato sul del 17 Maggio 2020