Caro monsignor Camisasca, lei ha detto: “Non si può gestire un evento cooperativo con criteri del capitalismo avanzato”. Volevo farle sapere che concordo assolutamente con le sue parole. Aggiungo: non sarebbe bello, crede, che con tali criteri disumani non fosse gestito neppure nulla che ha a che fare con la nostra Chiesa?
Sono invece meno d’accordo con lei, e me ne dispiaccio, quando afferma: “Se si vogliono fare i soldi non bisogna fare le cooperative”. Perché? Come se non potesse esistere un sistema per guadagnarsi da vivere dignitosamente, senza i criteri del capitalismo avanzato. Lo crede veramente?
D’altra parte, come noi sappiamo, tutti siamo uomini. E peccatori. E spesso tradiamo anche i migliori propositi, come quelli sacrosanti legati all’origine della cooperazione. Capita anche nella Chiesa che gli uomini sbaglino, figuriamoci nel mondo cooperativo!
Verrebbe da chiederle, monsignore: come comportarsi rispetto ai 900mila euro della cooperativa sociale Dimora di Abramo? Non sono soldi provenienti dalla gestione dei richiedenti asilo? E rispetto all’operato dell’associazione imprenditoriale Compagnia delle Opere collegata a Comunione e Liberazione? Non è un’unione di aziende che anch’essa, in qualche modo, specula sul mercato finanziario e propone una rete di interessi economici tra i suoi associati? E sulle banche vaticane di cui papa Francesco si è spesso lamentato, come la mettiamo?
Ma mi sembra indelicato porle queste domande proprio a Pasqua, perciò mi perdoni per averle solo pensate e scritte. Anche se lei, certamente, non ha certo perso l’occasione, in questi stessi tempi di Pasqua, attraverso l’intervista alla Gazzetta, di fare una solenne predica morale al nostro mondo cooperativo oggi in profonda crisi economica e ideale, nonché ai nostri politici e amministratori che spesso provengono proprio da quel mondo.
Ha ragione. Da vendere. E sono certo che il suo ragionamento, che non può essere manicheo, parlava sia delle cosiddette cooperative rosse sia di quelle cosiddette bianche, che qui hanno sempre governato insieme. Stavo scrivendo: in comproprietà.
Cosa vuole: qui a Reggio Emilia, a differenza di Roma o Milano, qualche tempo fa c’è stato un tale Camillo Prampolini che credeva nella cooperazione e diceva, addirittura, che Gesù Cristo era il primo socialista. E non era un pazzo o un bestemmiatore, eh? Ma una persona seria e per bene. Tanto che gli è stata dedicata la piazza principale della città.
Certo, gli uomini con il loro comportamento possono tradire e rovinare le idee e le cose migliori che ci hanno lasciato in eredità i nostri padri. Ma ciò non significa che tutte quelle idee fossero sbagliate. Voglio dire: anche le Sacre Scritture, mi pare, non hanno nulla contro il cooperare gli uni con gli altri. Anzi.
Monsignore, la abbraccio, la saluto di cuore e le ricordo le parole che, proprio mentre lei parlava di crisi delle cooperative, diceva il nostro Santo Padre: “Non può essere presuntuosa l’evangelizzazione. Concreta, tenera e umile e così l’evangelizzazione sarà gioiosa. Non può essere rigida l’integrità della verità. Perché la verità si è fatta carne, tenerezza, bambina, uomo, peccato in croce”.
Buon lavoro.
Con stima,
Giuseppe Caliceti