Così questa mattina, sabato 8 Ottobre 2016, abbiamo inaugurato questa mostra di libri d’artista e poesie visive. E’ una donazione alla Biblioteca di San Pellegrino – Marco Gerra, a cui è seguito un laboratorio di poesia visiva. Dunque, cosa è la poesia visiva? Sono immagini che si creano, soprattutto, con lettere alfabetiche. Ma non solo. Da dove mi nasce questa cosa della poesia visiva? Dalla mia adolescenza. Dalle frequentazioni nella mia adolescenza. Corrado Costa. Adriano Spatola. E tanti altri loro amici che avevano quest’idea dell’arte totale. Cioè? Cioè il fatto che una stessa persona, semplicemente, potesse dedicarsi alle varie arti senza, per forza, esserne un professionista.
Semplifico, si capisce. Ma un po’ è proprio così. E i libri d’artista? Dal nome così pomposo? Che roba è? Sono, semplicemente, libri fatti a mano. In copia unica. Artigianalmente. L’esatto contrario dei libri pubblicati in centinaia o migliaia di copie in quelle che i bambini chiamano le fabbriche dei libri e sono le case editrici.
Anche questa cosa l’ho imparata a fare, per caso e per fortuna, dai neoavanguardisti emiliani. Forse i più visionari tra gli avanguardisti di quell’epoca. Si rifacevano nelle loro poesie visive alla lezione del futurismo e delle altre avanguardie storiche, in cui i generi artistici sconfinavano l’uno negli altri, mettendo a repentaglio il presunto primato della parola scritta. Il mio maestro e amico è stato Corrado Costa, – indimenticabile avvocato e poeta reggiano. da lui ho imparato la libertà nel comporre collage e, poi, decollage: strappare un collage e vedere cosa è rimasto sotto. Io invece mi sono inventato la stampa ad acqua: bagnare un pezzo di carta appoggiato su un lenzuolo, un asciugamano, uno straccio precedentemente trattato con colla di pesce, e vedere cosa resta. Anche nei libri in copia unica, mi rilasso. Più che a scrivere. Più che a suonare il violino o il pianoforte. Qui ho raccolto, nella mostra in biblioteca, anche le di libri per bambini, che un po’ si rifanno, mi pare, ai libri d’artista. nelle stampe ad acqua mi piace lavorare con ritagli di giornale, ma anche con i segni degli alfabeti antichi, soprattutto i disegni/segni riprodotti dei graffiti rupestri dei Camuni. I titoli delle quattro opere visive donate alla biblioteca: La nascita delle parole; Grande punto esclamativo; Curva pericolosa a sinistra; Il quarto stato delle i, ovvero: le voci dei morti raccolti nelle biblioteche non dormono, gridano.
Alla visita guidata alla mostra, sia oggi che nei giorni successivi, si unisce un laboratorio didattico in cui ogni bambino può realizzare una poesia visiva disegnando la sua faccia utilizzando solo le lettere che compongono il suo nome. E’ divertente e saltano fuori facce particolarmente buffe e interessanti da osservare. Ringrazio chi mi ha aiutato a issare e fissare le tele. Ringrazio le bibliotecarie della Biblioteca di San Pellegrino Marco Gerra, sempre fantastiche. Ringrazio il direttore della Panizzi Giordano Gasparini. Ringrazio il comune di Reggio Emilia che ha accetto questi piccoli doni.
Grazie.
Curva pericolosa a sinistra (2014). Il collage in bianco e nero è realizzato con ritagli di lettere di locandine che gli edicolanti della città mi regalano. La freccia è su sfondo acrilico nero. Ho riprodotto, ingrandito, un segnale stradale che tutti conoscono: la Curva pericolosa a sinistra. Una decina di anni fa lessi un saggio sulla segnaletica stradale, il paesaggio e l’arredo urbano. Non ne ricordo più l’autore. Ma venni a sapere che, in ogni paese occidentale dove si guidano autoveicoli tenendosi alla destra della strada, i segnali di Curva pericolosa a sinistra sono circa l’80%, mentre quelli di Curva pericolosa a destra solo il 20%. Perchè se sbagli a curvare a destra, oltrepassi la striscia bianca continua sulla carreggiata e sbandi nell’opposta corsia di marcia; se invece sbagli la curva a sinistra, finisci subito fuori strada. Da allora, insensatamente, mi interrogo sulla possibilità che anche i segnali stradali possano trasmettere ai cittadini messaggi subliminali. |
Grande punto esclamativo (2012). A scuola, appena mostri la lettera “i”, gli alunni prima classe ti dicono che il puntino è la testa e la linea verticale è il corpo. La “i” vuol dire “io”, “individuo”, “persona”. Anche per svariati artisti è così. Ora, immaginate cento “i”. Mille. Quelle che costituiscono il fondo della tela realizzata con acrilici, carte veline, collage, decollage, stampa ad acqua. Ognuna è uguale e diversa dall’altra. Ma sono tutte piccole “i”. Se però ogni “i” si capovolge, si trasformano tutte in tanti punti esclamativi. Sì, in un Grande punto esclamativo. Aggiungo: per me, il punto esclamativo non è solo un segno ortografico, ma anche un simbolo di rigore, rispetto, serietà, autorevolezza. Non di autorità, speriamo. Appena entri in biblioteca lo vedi. Ti ricorda che qui ci sono regole da rispettare per vivere bene insieme. Per esempio, per leggere in tanti bisogna farlo silenziosamente. Il posizionamento non è casuale: di fronte allo spazio di consultazione di quotidiani e riviste. |
La nascita delle parole (2015). In una biblioteca ci sono tanti libri, tante parole. Come sono nate? Ho immaginato una nascita fantastica: arrivavano dall’alto e scivolavano sulla colonna portante su cui è posizionata la tela verticale, realizzata con acrilici e stampe ad acqua. Perchè prima di essere lettere, le parole sono suoni. Nella tela compaiono colori e ritagli, su uno sfondo ocra: per richiamare l’arredo e il controsoffitto in legno. E tante stradine. Ma nella tela compaiono anche altri simboli dei graffiti rupestri dei Camuni, più o meno reinterpretati, che io considero, impropriamente, l’equivalente dei geroglifici egiziani e degli ideogrammi orientali, sempre sospesi tra segno e disegno. |
Il Quarto Stato delle i, ovvero: Le voci dei morti raccolte nelle biblioteche non dormono in pace, gridano (2015). In questo tela torniamo alla “i” come “io”, come “individuo”, come “persona”. Avete senza dubbio presente il dipinto di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Appena ho visto la parete curva della biblioteca dove poteva essere posizionato, con la sua prospettiva reale, ho immaginato “il Quarto stato delle i”. Due parole sul sottotitolo: le biblioteche, se ci pensate, sono anche cimiteri di voci di persone che, per lo più, non sono più tra noi. Ma che reclamano, spesso ad alta voce, la nostra attenzione. Che ci parlano ancora, insomma. Che avanzano ogni giorno verso di noi per essere accolte, comprese, discusse, ascoltate. |