La rabbia e la protesta del movimento di genitori e docenti del movimento Priorità alla scuola, presente anche nella nostra città, è legato soprattutto al fatto che la scuola paghi il prezzo dell’incapacità di affrontare situazioni complicate ma prevedibili come il trasporto pubblico. E non per mancanza di sicurezza a scuola. E queste lacune in altri settori pubblici si stiano scaricando proprio sulla scuola. Anche se si tratta di problemi esterni ad essa, che probabilmente si potevano prevedere, alleviare, risolvere.
Anche le decisioni dell’ultimo DPCM confermano che il governo ha fatto ben poco di quello che chiedeva dall’aprile scorso il mondo della scuola e non ha intenzione di fare molto di più in futuro.
Per risparmiare. Come sempre. Sulla pelle dei minori.
Cosa avrebbe potuto e dovuto fare, invece? O forse potrebbe ancora fare? Almeno secondo il movimento di protesta?
L’elenco è lungo. I problemi sono sempre gli stessi. Irrisolti perché mai affrontati seriamente e prevedendo congrui investimenti.
Quali sono?
Rafforzare il trasporto pubblico. Istituire un medico per ogni scuola. Effettuare tamponi rapidi e continuativi per rilevare i contagi da Covid. Sdoppiare le classi pollaio. Individuare spazi alternativi per la didattica in presenza tutelando il tempo-scuola. Assumere più personale e docenti. Stabilizzare quelli precari da più di tre anni. Evitare la didattica a distanza alternata sistematicamente con quella in presenza con il conseguente frazionamento delle lezioni, immaginandola solo in caso di lockdown esteso in tutta Italia.
La novità degli ultimi giorni è che alla protesta di docenti e genitori del movimento Priorità alla scuola, a partire da venerdì scorso, in molte città italiane, si è aggiunta quella di molti studenti delle scuole superiori. Non solo a Roma, davanti al Ministero dell’Istruzione, dove alcuni rappresentanti sono stati ricevuti dallo staff di Lucia Azzolina. Ma anche a Milano, Ancona, Firenze, Torino, Faenza, Bologna altre città.
L’occasione scatenante della protesta è stata senza dubbio la chiusura delle scuole in Campania venerdì scorso: la protesta studentesca è stata fortissima. Ma a dare l’esempio avevano già iniziato Anita e una sua compagna di classe, 12 anni: per una intera settimana hanno protestato davanti all’Istituto Comprensivo Tommaseo-Calvino di Torino.
Il movimento studentesco di protesta si è dato un nome: School for future. Rifacendosi apertamente a Friday for future della studentessa svedese Greta Thunberg, che scioperava per il clima, ogni venerdì, davanti alla propria scuola. Tanti studenti italiani, invece, protesterebbero per tornare a scuola. In sicurezza. Trovandosi ogni venerdì davanti alle loro scuole chiuse e partecipano per un’ora alle lezioni fatte dai loro professori online sui loro PC portatili e smarthphone con un WI-FI in condivisione.
Dopo Priorità alla scuola, anche nella nostra città nascerà School for future?
Articolo pubblicato sulla il 21 Novembre 2020