Tutte le lettere dell’alfabeto sono importanti
come lo sono tutte le persone
Un giorno le vocali scesero in piazza a protestare.
“Non è giusto che noi vocali siamo pagate come le consonanti”.
“Perché?”, chiese una S.
“Ma perché noi lavoriamo molto di più: infatti non esiste parola che non abbia almeno una, due, tre o quattro vocali. Per non parlare della parola aiuola che ne ha cinque”.
Visto che nessuno le ascoltava, le vocali deciso di scioperare: per un giorno intero, per protesta, non andarono a lavorare.
Fu una giornata piena di disagi e di incomprensioni: peggio di quando scioperano i benzinai, i camionisti, i taxisti, i ferrovieri o gli aviatori.
Bn grn, diceva la gente invece di dire Buon giorno.
C, dicevano i bambini ai loro amici invece di dire Ciao.
Bmbn, vt ftt l cmpt?, dicevano le maestre ai loro alunni invece di dire Bambini, avete fatto i compiti?
T m!, diceva all’innamorata l’innamorato invece di di dirle Ti amo!
Insomma, nessuno ci capiva più niente.
Così il sindaco della Città delle Paole decise di accontentare le vocali: a loro fu aumentato lo stipendio.
Ma le consonanti ci rimasero male.
Dopo una settimana anche le consonanti scesero in piazza a protestare.
“Non è giusto che noi consonati siamo pagate meno delle vocali: vogliamo essere pagate tanto uguale”.
“Perché?”, chiese una A.
“Perché siamo importanti tanto quanto voi”.
“Ma noi lavoriamo molto di più: infatti non esiste parola che non abbia almeno una, due, tre o quattro vocali. Per questo dobbiamo guadagnare più di voi”, disse una E.
“Questo ragionamento non sta in piedi”, disse una T. “E’ vero, le vocali lavorano di più che noi consonanti, infatti ogni giorno viene pagato un maggior numero di vocali che di consonanti, ma devono essere pagate tanto quanto noi consonanti e non di più! Tutte le lettere dell’alfabeto sono importanti! Non esistono lettere più importanti delle altre!”
“Questo lo dite voi!”, disse una O. “Qualsiasi persona di buon senso sa che noi vocali siamo più importanti di voi consonanti!”
“Ah, è così che la pensate? Allora provate a fare senza di noi”.
E per un giorno intero, per protesta, anche le consonanti decisero di non andare a lavorare.
Fu un’altra giornata piena di disagi e di incomprensioni, peggio di quando scioperano gli operai, gli agricoltori, le guardie notturne, i bancari, i vigili urbani e le maestre elementari.
E oe oo, chiedevano le persone in ritardo per chiedere Che ore sono?
la gente invece di dire Buona sera.
Ai auui a e, ai auui a e, cantavano i bambini alle feste di compleanno invece di cantare Tanti auguri a te, tanti auguri a te…
I gatti e i cani e i non riuscivano più ad abbaiare e a miagolare, dicevano solo M! e B!
Uoi oai?, chiedeva l’innamorata all’innamorato invece di chiedergli Vuoi sposarmi?
Insomma, ancora una volta nessuno ci capiva più niente.
Così il sindaco della Città delle parole decise di accontentare le consonanti: anche a loro fu aumentato lo stipendio.
C’era ancora da risolvere il problema delle lettere straniere: la J, la Y, la X, la K, la W e la X. Visto che nessuno sapeva se considerarle vocali o consonanti, non venivano considerate né vocali né consonanti, ma solo lettere straniere. E per questo venivano pagate meno di tutte le altre lettere che erano nate in Italia.
Anche loro scesero in piazza a protestare.
“Non è giusto che noi lettere straniere siamo pagate meno delle lettere che sono nate in Italia: vogliamo essere pagate tanto uguale”.
“Ma questa non è il vostro Paese, tornate da dove siete venute!”, disse una L.
“Veramente noi siamo venute qui per lavorare: se qui non ci fosse lavoro, noi ce ne saremmo già andate da un pezzo”, disse una Y.
“Noi che siamo nate in Italia siamo più importanti di voi che non ci siete nate”, disse una U.
“Siamo importanti tanto quanto voi”, disse una X.
“E poi i nostri figli”, aggiunse una K. Le J, le J, le W, le X e le K minuscole? Guardate che loro sono nate in Italia come voi! Perché dovrebbero valere meno dei vostri figli e delle vostre figlie?”
“Ma in Italia ci sono pochissime parole che hanno bisogno di lettere straniere”, disse una B.
“E le poche che ci sono”, aggiunse una A, se non vogliamo rovinare la nostra bellissima lingua italiana, bisognerebbe evitare di usarle anche quelle!
E così per un giorno intero, per protesta, anche le cosiddette lettere straniere decisero di fare sciopero e di non andare a lavorare. Esattamente come prima di loro avevano fatto le vocali e le consonanti dell’alfabeto italiano.
Fu un’altra giornata piena di disagi e di incomprensioni, molto peggio di quanto tutti si immaginavano: peggio che se scioperassero tutti insieme i dottori, gli idraulici, i manovali, i falegnami, i ragionieri, le ballerine, i gondolieri, i pescatori, gli infermieri, i teatranti, i portalettere, i musicisti, le badanti, i fornai, i commercianti, i maggiordomi, i calciatori, i muratori, i fioristi, i poliziotti e gli elettricisti.
Questo tai è libero?, chiedevano le persone che uscivano dalla stazione invece di chiedereQuesto taxi è libero?
Nel eeend sono andato sullo silift, raccontava un alunno alla maestra invece di dirle Nel weekend sono andato sullo skilift.
Ti sento o o ti senti o?, chiedeva la mamma al papà invece di chiedergli Ti senti ok o ti senti ko?
Per favore, mi sbucci un ii?, chiedeva l’innamorato all’innamorata invece di chiedergli Per favore, mi sbucci un kiwi?
Insomma, ancora una volta nessuno ci capiva più niente.
Così le lettere straniere furono accontentate: a tutte e sei e ai loro figli fu finalmente concessa la cittadinanza italiana e anche a loro fu dato lo stipendio che avevano tutte le altre lettere.
Non solo.
Il sindaco della città delle parole disse: «Tutte le lettere sono ugualmente importanti perché senza una sola di loro non riusciremmo a parlare e a capirci».