Evitiamo inutili allarmismi. Nella nostra provincia regna in queste settimane una certa omertà sui casi Covid positivi di docenti o studenti degli asili e delle scuole, mentre forse sarebbe necessaria maggior trasparenza. Si dice che non se ne parla per questione di privacy. Per non creare inutile allarme sociale. Così i numeri esatti mancano: nessun giornale o TV li riporta. Eppure si sa che casi ci sono. Sono da sempre a favore della scuola in presenza. Perché ritengo la DaD non scuola, specie per la scuola dell’obbligo, o comunque un palliativo della scuola vera. Ma prima di tutto ritengo, come tutti, che venga la salute.
Allora mi chiedo perché, in alcune classi della nostra provincia, con un solo caso di alunno con tampone positivo, si proceda al tampone per tutti i docenti e gli alunni della classe. Mentre in altri casi, magari dove ci sono anche due o più alunni con tampone positivo, la classe continui ad andare a scuola in presenza tranquillamente, nella stessa aula, magari con solo qualche raccomandazione in più: non togliersi mai la mascherina, lavarsi più spesso le mani, aprire con più frequenza le finestre. C’è qualcosa che sfugge. Ai genitori degli studenti, ai docenti, forse agli stessi presidi. Il documento del 28 agosto per gli scenari più frequenti di casi e focolai a scuola, riportato sull’ultimo bollettino della Flc Cgil di Reggio Emilia, riporta: «In caso di alunno o operatore scolastico risultino positivi chiudere le aree utilizzate dalla persone positiva fino al completamento della sanificazione». Se poi un alunno ha la febbre e i genitori gli fanno fare il tampone e risulta positivo, oggi c’è chi dice che, se il bambino è a casa da più di 48 ore, non c’è alcun pericolo e l’attività didattica, per il resto della classe, va avanti in presenza. Ora, visto che in queste settimane nessun tampone viene fatto ai bambini entro 48 ore dall’insorgere della febbre, ma dopo 3 o più giorni, secondo logica, risulterebbe impossibile sanificare e fare il tampone agli alunni di qualsiasi classe. Però alcuni lo fanno. Possibile che per mettere in sicurezza una classe o una scuola basti che l’unità sanitaria locale ritardi il tampone di uno studente? Non è strano? E anche poco serio? Non sarebbe il caso che presidi, provveditore, ufficio regionale, unità sanitarie locali e sindacati chiarissero bene la questione? Spiegassero quali sono attualmente i criteri perché i nostri figli e i nostri studenti – ma anche i docenti, specie quelli «fragili» come il sottoscritto, che è nato nel 1964, – possano andare a scuola veramente in sicurezza e senza inutili timori? Credo che senza chiarezza si crei più allarme sociale che con un po’ di più di trasparenza e chiarezza.
Articolo pubblicato sul il 28 Ottobre 2020