Tutti , con l’arrivo della pandemia, abbiamo imparato a conoscere la DaD, cioè la Scuola a Distanza o Scuola senza andare a scuola, che fondamentalmente, almeno per me, non è scuola. In quest’anno scolastico abbiamo il Ministero dell’Istruzione ha sfornato un nuovo acronimo: la DID. Quali sono le differenze? Dunque, la DaD è praticata quando tutta la classe è a casa e il docente fa lezione on-line. La DID, invece, Didattica Integrata Digitale scatta quando solo una parte della classe è a casa in quarantena, o in attesa di tampone, o positiva. Anche se di Didattica vera e interessante ce né ben poca. Cosa succede? Dunque, l’impavido docente supereroe, utilizzando uno dei suoi innumerevoli superpoteri – in questa caso il dono dell’ubiquità, almeno a parole, – fa lezione contemporaneamente agli studenti in presenza che sono in aula e a quelli a casa collegati via web su classroom o altro. Insomma, la sua voce deve arrivare a tutto l’universo: chi è a casa e chi è in aula. Magari anche l’immagine della sua faccia, se ci riesce. Ma la telecamera del computer di classe, attenzione, non può in alcun modo, per una questione di privacy, riprendere gli studenti presenti in aula. Così si fanno esercizi e letture e spiegazioni e dettati allegramente, colloquiando un po’ con chi è in aula e un po’ con chi è a casa davanti al suo computer, anche se la voce arriva leggermente in ritardo e crea effetti comici o echi e risonanze di un magico mondo di fiaba e tecnologia difettosa. Se la linea della scuola non salta, la lezione va avanti così.
Il docente fa fatica a tenere sotto controllo sia gli studenti sullo schermo sia quelli in presenza. Già è difficile vederli tutti contemporaneamente. Specie se sono 25, 26, 28, 29. Anche la lezione diventa non solo frontale, ma addirittura verticale, abbandonando ogni possibile metodologia didattica cooperativa o comunque innovativa e obbligando il docente supereroe a una serie mirabile di salti mortali senza connessione sicura. Ogni tanto qualche studente a distanza copre la sua faccia con la mascherina nera con sopra la sua iniziale. Gli dici che lo vuoi vedere in faccia, per esempio se deve recitare una poesia a memoria. Gli alunni più piccoli ti chiedono se possono assentarsi un attimo dalla telecamera per andare a fare la pipì nel bagno di casa loro. Alcuni. Altri vogliono far vedere a tutti e anche al maestro il fratellino più piccolo. Altri ancora non sopportano di vedere la loro faccia nello schermo e tengono sempre giù la tendina nera abbassata. Anche la mamma chiede a sua figlia di farsi vedere. Lei si rifiuta ostinatamente. La mamma, insiste,si arrabbia, urla. Il maestro dice che va bene anche così, basta che anche lei, l’alunna che non sin vuol far vedere, da casa, a voce, partecipi.
Ecco, a proposito di privacy, con gli scolari più giovani, ma a volte non solo con loro, c’è l’inevitabile e apprezzabile intrusione dei genitori, specie le mamme, nel processo educativo. Esiste anche una privacy del bambino, che dovrebbe essere libero magari di sbagliare senza mettere in imbarazzo mamma o papà. Ma nessuno fa caso a una bazzecola del genere, con tutti i problemi che ci sono. La scuola ibrida va avanti così. Senza infamia e senza lode. L’importante è che non si dica che la scuola è chiusa. Anche se magari ci sono solo due studenti in classe e tutti gli altri sono a casa, collegati col loro computer. Qualcuno si lamenta? La giustificazione è sempre la stessa da tre anni: in caso di emergenza, si fa il possibile; meglio questo che niente. Via la scuola della pandemia! Viva i docenti e le docenti supereroi!
Altra questione: alunni e studenti che da tre anni subiscono questa scuola, avranno una preparazione uguale a quella di chi non l’ha subita? Il dibattito è aperto. Intanto il Ministero si affretta a riproporre l’esame di maturità vecchio stile, senza più neanche la tesina trasversale tra le materie. Come se a scuola non ci fosse mai stata né la DID, né la DaD, né la pandemia. L’importante è la certificazione, i voti, la promozione. Consiglio non richiesto ai docenti: state larghi coi voti, attenti a bocciare. Magari arriva il ricorso di un genitore.
Articolo pubblicato sulla di Sabato, 5 Febbraio 2022