Nel suo editoriale di domenica scorsa il direttore della Gazzetta, partendo da un increscioso fatto di cronaca, metteva in guardia dai pericoli della rete, dei cyberbulli e dall’importanza della reputazione che, in rete, può essere cancellata con un clic.
Con la pandemia il rapporto tra minori e nuove tecnologie è inevitabilmente al centro del dibattito. Tanto che gli stessi genitori ed educatori, che fino a poco più di un anno fa parlavano dei pericoli di una esposizione prolungata allo schermo posso provocare danni in bambini e ragazzi, col Covid paiono incentivarlo: come con la Didattica a Distanza, a cui sembra che la scuola, in mancanza di altro, sia di nuovo destinata. Resta la domanda: la permanenza prolungata davanti allo schermo è pericolosa o no?
Questo delicato tema è al centro anche della nuova edizione dell’iniziativa comunale di promozione della lettura /bao’bab/. Tra i primi incontri quelli con i prof e scrittori Christian Stocchi e Matteo De Benedittis. Come esperti, il loro giudizio, supportato da dati scientifico, è inequivocabile: l’esposizione prolungata agli schermi dei nostri figli e studenti fa male. Anzi, molto male. Provoca dipendenza e patologie: volatilità dell’attenzione e incapacità di concentrarsi, confusione tra mondo virtuale e reale.
Così nella favola del coniglietto bianco che ha solo tre amici ma ne vuole tremila e si affida a facebook, quando gli capita una difficoltà e chiede aiuto agli amici, si accorge che non ha nessun amico, perché anche i tre che aveva «in presenza» li ha abbandonati in nome di tremila che manco conosce e se ne fregano di lui.
De Benedittis è ancora più chiaro: «Se un genitore vi dà dei limiti sull’uso dello smartphone, ragazzi, ringraziatelo perché vi vuole bene. Se non ve le dà, supplicatelo di darvele, perché i genitori servono a dare regole».
Ancora: «Lo smarhone è un oggetto meraviglioso, magico, vi offre l’onniscienza e il teletrasporto. Ma è pericoloso. I vostri genitori, a dodici anni, vi hanno mai fatto guidare in autostrada un’automobile? No. Perché hanno paura che vi facciate male. Ebbene, lo smartphone è molto più pericoloso che guidare un’auto». «Ai suoi figli a che età darà il cellulare? Mai?», chiede una studentessa.
De Benedittis risponde: «Quando avranno una passione. O la loro prima passione diventerà lo smartphone».
Un oggetto che condanna alla solitudine. Esattamente il contrario di quanto credono i ragazzi.
Articolo pubblicato sulla del 4 Marzo 2021