Caro Francesco, che piacere risentirti!
E’ vero, Silvano mi ha già dato una risposta alla lettera che ti ho scritto, ma sono contento che anche tu abbia trovato il tempo per rispondermi. Non solo perché la avevo indirizzata a te, ma perché spero che le mie riflessione possano risultarvi utili e costruttive. La lettera pubblica che ho inviato a lui, che aveva risposto pubblicamente al mio articolo sulla Gazzetta di Reggio, assomiglia molto a questa che mando a te; ma qui, avendo meno problemi di spazio, spero di essere riuscito ad approfondire meglio alcuni temi, giudizi non richiesti, opinioni e timori, innanzitutto miei, ma anche di altri docenti.Sulla questione del rinnovato accordo in caso di sciopero, ti ringrazio delle lucide chiarificazioni. Non mi permetto di entrare negli aspetti più tecnici della questione, ti dico solo, qui, nella scuola mia, la sensazione generale… A un certo punto tu dici «abbiamo scongiurato…» Come tante volte, oggi, sento dire dal sindacato: «Vista la difficoltà della situazione, non si poteva far meglio di come abbiamo fatto». Fine del discorso. O quasi. Ecco, non penso che bastino più queste formule di auto-assoluzione. Occorre che queste cose siano spiegate meglio, con linguaggio più chiaro, a tutti gli iscritti. Magari anche prima di siglare accordi, non dopo. Perché le scelte siano il più possibile condivise e non, nel caso migliore, fraintese.
Ma soprattutto, credo, occorra un po’ di coraggio in più.
Voglio dire: va bene un sindacato che «scongiura» e «limita» i danni di chi vuole togliere diritti, ma sarebbe bene che risultasse, qualche volta, anche un sindacato più propositivo, affermativo, all’attacco, non solo rinchiuso in una difesa continua, in un infinito catenaccio che, alla fine, incatena e non sa far alzare lo sguardo, immaginare un mondo del lavoro, e non solo del lavoro, diversi, migliori, possibili: soprattutto per questo ci si iscrive a un sindacato. Se un mondo migliore non si riesce neppure più a immaginare, neppure ai vertici, che speranza c’è che possa realizzarsi, anche solo in parte? Nessuna. Coraggio, dunque. Ricordo che in momenti anche più difficili di questo, ci fu questo coraggio. E non mancò una carica di passione e di immaginazione, che sono sempre decisivi, come tu certo sai, sono il vero carburante di un sindacato. Passione e immaginazione, cioè cultura, intelligenza e conoscenza. Se manca condivisione e chiarezza con gli iscritti, inevitabilmente si creano problemi. La sensazione, mia e di altri, è che il diritto allo sciopero si sia ristretto, più che allargato. Non si poteva fare di meglio viste le condizioni date? Può darsi. Non è cambiano nulla rispetto a prima? Può darsi. Ma allora, mi chiedo, perché c’è stato bisogno di cambiare la modulistica con le tre opzioni?Ritorno sulla questione «coraggio». Cosa intendo? Intendo anche alzarsi più spesso dal tavolo delle trattative. In passato accadeva più spesso. Ora lo si fa più raramente. Perché? Se ci sono condizioni irricevibili, se cii sono persone che pongono condizioni irricevibili, ci si comporti di conseguenza, alzandosi dal tavolo, rinunciando a trattare a certe condizioni umilianti, anche per una questione di dignità: la propria e quella degli iscritti che si rappresenta. Perché non si fa, Francesco? Spiegatecelo bene. E’ importante saperlo. Nei dettagli.Qui in Emilia gira una battutaccia: «Non si alzano dal tavolo perché ormai non sono invitati quasi più a sedersi a un tavolo di trattativa. E quando questo avviene, in tanti, ormai, anche nel sindacato, scambiano i tavoli per le poltrone».
E’ solo una battutaccia. Ma credo che oggi sia bene riflettere anche su queste semplice battute. Se i vertici sostengono che si è salvato il diritto di sciopero, ma la base o parte di essa percepisce quasi il contrario, qualcosa non va. E occorre fare qualcosa. Presto.Per tanti lo sciopero rappresentava e forse rappresenta, ancora oggi, come in passato, lo strumento di lotta e di identità più forte dei lavoratori, nonché di riconoscibilità del sindacato; è tema perciò delicatissimo da maneggiare e comunicare in ogni suo aspetto con grande cura, attenzione, chiarezza; se per molti «salta» l’idea e la pratica dello sciopero, o ha solo la percezione che questa pratica e questo diritto siano toccati, e non si sostituisce a questo strumento di lotta qualche altro strumento o idea, gli effetti possono essere i più diversi; dopo aver «ristretto» questo diritto di sciopero, magari presto si abolirà il sindacato: è questa la vera preoccupazione. Spero di sbagliarmi, ma tra i lavoratori della scuola, se ciò accadesse, non credo che in molti, oggi, si straccerebbero le vesti. E i più giovani? Se qualcuno gli dicesse: «Ti assumo solo se non sei iscritto al sindacato e non fai sciopero», accetterebbe, come accaduto in ogni periodo di crisi economica e culturale.
In tanti settori del lavoro privato è già così, ora anche nel pubblico vediamo che si va tristemente in questa stessa direzione: basta pensare all’assunzione diretta richiesta da tanti presidi e dirigenti scolastici.Per quanto riguarda l’art. 3 comma 4, in particolare il passaggio in cui sostengo che lo sciopero come strumento di lotta è vanificato dal fatto di essere sostituito da un supplente, caro Francesco, mi ricordi «che, fortunatamente, questo non è possibile e mai lo sarà, né per il personale docente né per il personale ATA, in quanto si configurerebbe come comportamento antisindacale sanzionabile ex art 28 della L 300/70».
Nei sei certo? E se invece ciò accadesse già? Cerco di spiegarmi meglio.
Dunque, oggi, se anche due terzi del gruppo docenti di un plesso scolastico aderisce a uno sciopero, – venti persone su trenta, mettiamo, – può accadere che il preside possa decidere di non chiudere la scuola e continuare con le lezioni, almeno quelle di facciata. Come? Senza nominare supplenti, certo, ma utilizzando i docenti che non aderiscono allo sciopero per «sostituire» quelli che lo fanno. Risultato?
Negativo per tutti.
A chi fa sciopero vengono tolti 70 euro e, anche se non viene nominato un supplente, di fatto una collega lo sostituisce sulla sua classe.
Ai docenti che hanno deciso di non fare sciopero, il preside può cambiare materie di lezione, classe e in alcuni casi anche l’orario di lavoro, che io sappia; e solo per tenere a bada ai bambini che hanno assenti i propri docenti per sciopero.
Non so alle medie o alle superiori, ma alla primaria, i bambini sono deportati da un’aula all’altra purché risulti che la scuola, formalmente, è aperta e funzionante nonostante lo sciopero.
Ah, le famiglie degli studenti non sono degnamente informate di cosa capita ai loro figli in caso di sciopero. Il programma didattico quotidiano viene manomesso.Tutto normale? Forse sì. Lo dico senza ironia, Francesco. Se ci pensi bene, infatti, è esattamente ciò che accade, da anni, quando un docente è assente per malattia: per risparmiare denaro, – risparmiarlo sulla pelle dei più fragili, dei più piccoli, dei bambini e dei ragazzi, dei nostri figli, sia chiaro, – non vengono più nominati supplenti, ma ci si arrangia con docenti che devono metterci una pezza coprendo i buchi che inevitabilmente si creano quando un docente si ammala. Come? In ogni modo. Di fatto, stravolgendo programma didattico quotidiano, lezioni previste, a volte lo stesso orario di lavoro. E questo, ripeto, a danno esclusivo della formazione degli studenti e delle loro famiglie, e degli stessi docenti – sia di chi fa sia di chi non fa sciopero, – svolgendo una funzione di babysitteraggio, ammettiamolo, più che di formazione secondo i dettami della scuola della nostra Costituzione. Insomma, ormai lo sciopero è visto come una forma di malattia da debellare. Non solo dai dirigenti, dagli studenti, dalle loro famiglie, ma anche da molti docenti. Anche da alcuni sindacalisti? Spero proprio di no. Ma ho la netta sensazione che dopo l’accordo siglato sulle nuove modalità di sciopero, i docenti che sciopereranno saranno ancora meno, sempre meno; naturalmente mi auguro di essere sonoramente smentito e che questi miei timori risultino assolutamente infondati.
Ancora: sulla circolare legata a uno sciopero, mi fai notare come «solo gli ultimi sottoscrittori avevano e avrebbero la possibilità di vedere le scelte operate dagli altri, cosa che invece non vale per i primi che la ricevono. Più semplice confrontarsi direttamente con colleghi e amici – come si è sempre fatto e giustamente si continuerà a fare».
Hai di nuovo ragione, per carità. Anche se io, te lo dico francamente, spero in qualcosa di più, da parte del mio sindacato, sul fronte dell’informazione. Anche qui, provo a spiegarmi meglio: non chiedo certo ci siano i picchetti davanti alle scuole, ma un sindacato deve fare più informazione preventiva e diffusa sul territorio, perché di questo stiamo parlando: informazione. Informazione sullo sciopero, certo. Anche sulla sua adesione prevista. Proprio perché a scuola ci sono queste situazioni oggettive di possibile impossibilità di fare un reale sciopero, cioè che provochi disagio all’utenza e nei datori di lavoro (altrimenti che sciopero è?) e non si ritorca negativamente solo sui docenti: sia chi fa sciopero, sia chi non lo fa, – l’informazione preventiva e la proiezione di chi farà sciopero sono elementi fondamentali per la riuscita di uno sciopero. Informazione «sul campo», diciamo. Precedente allo sciopero. Invece accade sempre più spesso, in questi anni, che ci siano assemblee sindacali non di preparazione a uno sciopero o di un percorso di lotta insieme, ma riunioni in cui i dirigenti locali spiegano agli iscritti il perché di alcune scelte nazionali che già sono state prese o addirittura già siglate con la controparte.So che neppure io, con una lettera, posso essere esaustivo, ma mi preme concludere parlando della mia visione del sindacato, di quello che io sento ancora come sua natura. A me pare che il rischio sia quello di diventare sempre più un servizio; e come tale, rischi di diventare anche sempre più servizievole e servile; io vado lì e mi aiuta a fare la dichiarazione dei redditi e altre pratiche. Encomiabile, per carità. Ma triste e limitante, per me. Io penso che la sua natura, la sua mission, come si dice oggi, sia quella di essere un movimento culturale di massa, come è stato anche in passato, in alcuni periodi. I tempi sono cambiati, ma questi in cui viviamo non sono certo peggio di altri che il sindacato ha affrontato. Perciò sono fiducioso. Che tipo di movimento di massa? Qui voglio parlare a carte scoperte, Francesco. Il mio maestro numero 1 è stato Edoardo Sanguineti. Tra le altre cose, nei suoi ultimi anni di vita, parlò della necessità di riaccendere nella gente, specie in chi fa politica, un minimo di «odio sociale». Fece molto scalpore, quell’espressione. E fu fraintesa da molti. E oggi sarebbe ancora più scandalosa e fraintesa di allora. Eppure io la penso come lui. Anche se magari al posto di «odio» parlerei di necessità di un minimo di «sana invidia sociale», «di speranza sociale». Senza questo motore, io credo che un sindacato non abbia ragione di esistere. Tanto più un sindacato dei lavoratori della conoscenza. Perciò quando parlo di movimento culturale non parlo di roba da intellettuali del cavolo, cioè della cultura spettacolo, ma capace di agire e lottare anche sulla realtà, cioè anche sulla sua narrazione, sulla rappresentazione.
Un sindacato dei lavoratori della conoscenza ha ancora di più la responsabilità, rispetto a sindacati di altre categorie di lavori, di essere avanguardia di un sindacato e di una cultura sindacale antagonista. Di spiegare e lottare perché il sindacato non sia solo servizio ma movimento culturale: cioè di narrare e interpretare la realtà, oltre che subirla, per provare, magari un poco, a cambiarla. Conservando l’unico valore laico rimasto: fare qualcosa di meglio non solo per sè, ma per chi verrà dopo di noi: i nostri figli, i nostri studenti.
In questa ottica, – che, credo, tu possa almeno in parte condividere e auspicare, – ti chiedo subito due cose pratiche e veloci, le stesse che ho chiesto a Silvano. La prima riguarda la tua opinione alla proposta di un Museo/Collezione nazionale d’arte figurativa che ha come tema il lavoro in un capannone delle ex Reggiane, raccogliendo tutte le opere delle camere del lavoro italiane dove questo patrimonio ha una funzione prevalentemente di arredamento: a proposito, la mia lettera-proposta a Maurizio Landini e al sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, oltre che sui giornali locali, è stata pubblicata il 10 febbraio su il manifesto. La seconda: se secondo te è possibile riprendere in mano al più presto, Covid permettendo, quel progetto di convegno sulla promozione della lettura e della scrittura in Italia tra scuole e biblioteche pubbliche, su cui avevamo già iniziato a lavorare con comune di Reggio Emilia, Università di Modena e Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi, CGIL FLC provinciale e regionale, ma poi anche nazionale, che il Covid ha congelato e annullato; a prescindere dalla figura di Gianni Rodari a cui era collegato il convegno, che sulla carta aveva anche una settimana di eventi off aperti non solo a docenti o bibliotecari ma all’opinione pubblica e all’intera cittadinanza, sento infatti che sia ancora importante ed urgente.
Non voglio approfittare oltre della tua pazienza ed attenzione,
Un caro saluto e buon lavoro, Giuseppe
Questo è il testo della lettera di Francesco Sinopoli a cui rispondo:
Vedi anche:
- Il diritto di sciopero si è ristretto – Articolo pubblicato sulla dell’ 8 Febbraio 2021