Di cosa parla la lettura che abbiamo letto oggi?
«C’era un bambino sui roller. Anche io sono andare sui roller». «No, quella era la figura!» «C’era questo bambino che perdeva sempre o si sbagliava. Sui roller non ci sapeva andare bene perché cadeva quasi sempre. A calcio non faceva mai gol». «Ma perché lui era portiere!» «No, non era portiere». «Ma giocava in difesa, non giova in attacco per fare gol». «Sì, c’era un bambinone perdeva sempre a giocare a calcio e a tutti gli altri giochi di squadra. Anche a pallavolo. Anche a carte, perdeva: perché le carte gli cadevano sempre dalle mani».
«Anche a dama cadeva sempre, cioè faceva cadere le dame e i demoni e insomma, non riusciva mai a giocare a niente, per questo stava da solo. Per questo lui andava a giocare con i suoi roller. Da solo. Perché coi roller era bravo ad andare. Coi roller non era vero che lui cadeva, che sbagliava. «Per me non sapeva neppure fare la capriola». «Forse neppure fare la capriola o andare in bicicletta».
Mi dite altre cose che secondo voi non sapeva fare?
«Correre, forse». «I compiti». «Non sapeva camminare, per me. Perché neanche io so nuotare bene». «Per me non sapeva aprire un ombrello da solo, doveva sempre farsi aiutare da sua mamma». «Forse non sapeva fare i compiti da solo». «Non sapeva mangiare da solo». «Non sapeva andare a cavallo». «Non sapevo andarci neanche io perché nessuno me lo aveva insegnato, adesso invece io ci so andare sul cavallo». «Forse non sapeva neppure disegnare, quel bambino». «Non sapeva… Non sapevo lavarsi i denti.»
Però alla fine nella lettura c’era qualcosa che quel bambino sapeva fare benissimo. Mi sapete dire se l’avete capito? Se siete stati attenti?
«Sì, io lo so, perché sa non vincere niente». «Sì, sapeva perdere». «Lui sapeva perdere benissimo».
Cosa vuol dire saper perdere benissimo?
«Vuole dire che tu non piangi, se perdi». «Che lui, vuol dire, non scappava via». «Non si vergognava se perdeva». «Saper perdere vuol dire che se perdi ci stai male, ma non troppo, perché l’importate è giocare insieme». «A lui non interessava se vinceva o perdeva». «Per me vuol dire che lui era un perdente». «Per me lui era troppo buono, per questo non vinceva mai». «Vuol dire che non era capace a fare niente ma lui ci provava, ci provava, ci provava sempre ma non riusciva mai perché aveva paura ad andare in bicicletta, per questo non riusciva mai ad andare in bicicletta senza le rotelle anche se suo o padre voleva insegnargli ad andare». «Vuol dire, per me, che lui era calmo, se perdeva. Non era nervoso».
«Non era uno che voleva vincere sempre». «Per me lui andava sempre sui roller perché lì era da solo e non poteva perdere. Al massimo cadeva. Ma non si vergognava. Neppure lo vedeva». «Per me a lui piacciono i roller perché non giochi con degli altri». Perché non è uno sport». «Il calcio è uno sport». «Non è una gara. A me le gare non piacciono. Come a quel bambino della lettura. Perché nelle gare vincono sempre… Vince sempre uno solo e tutti gli altri perdono e allora è una cosa brutta, non mi piace». «Mia mamma dice sempre che la scuola non è una gara». «A me piace andare sui roller però io non li ho, me li presta mia cugina».
E voi sapete perdere come quel bambino?
«Io no, perché mi arrabbio troppo». «Io divento una belva». «Sì, io so perdere bene». «Anche a me dispiace, se perdo. Ma so stare un po’ calmo». «Io mi arrabbio con i miei amici e anche con gli avversari».
«A me non piace fare le gare che perdono tutti». «ma se uno non ha i roller come fa a non arrabbiassimo, se perde?» «Io se perdo urlo, piango, butto tutto a terra, non lo sopporto».
(il Manifesto – 5 Novembre 2020)