Il maestro Giuseppe Caliceti analizza i mesi di didattica a distanza mettendo in risalto i rischi di disparità di trattamento fra classi sociali.
“La scuola senza andare a scuola. Diario di un maestro a distanza” si legge sulla copertina dell’ultimo libro dello scrittore reggiano Giuseppe Caliceti, da anni impegnato sui temi dell’educazione e della promozione della lettura. Il volume si potrebbe definire un “instant book”, che arrivando puntuale su un argomento d’attualità descrive la vita dell’autore, nella sua veste di insegnante elementare, all’epoca del Covid 19, alle prese con un sistema scolastico abbandonato a se stesso, con la DaD, ossia con la Didattica a Distanza, forma di scuola “virtuale” che sembra scuola ma non è, e costretto fra le pareti domestiche a cercare di mantenere vivo il rapporto con gli alunni. Nasce così il diario del maestro Giuseppe, che insieme alla cronaca di quei giorni di emergenza sanitaria propone riflessioni sulla situazione dell’istruzione nel nostro Paese e sulla DaD, “una foglia di fico per nascondere le vergogne di una scuola pubblica saccheggiata da decenni peggio della sanità pubblica, poi azzoppata dalla pandemia, che ha accelerato il processo di privatizzazione già in atto da tempo, su cui in tanti si stanno gettando come iene fameliche”. A tale proposito un esempio significativo è rappresentato dalle piattaforme informatiche necessarie per effettuare le lezioni a distanza, che essendo gestite da aziende private generano pure legittimi dubbi sul rispetto della privacy. Secondo Caliceti questa modalità tecnologica applicata alla didattica non ha nulla di innovativo e finisce, anzi, per riproporre forme regressive nel processo educativo (compiti, voti, lezioni e interrogazioni frontali) e spiccatamente classiste (migliaia di studenti in difficoltà vengono esclusi non avendo un computer o una figura di sostegno). Che fare davanti a una tale situazione per salvare quella scuola “aperta a tutti” sancita dalla Costituzione? Il maestro Giuseppe invita la collettività, in particolare genitori e docenti, a impegnarsi affinché “Scuola e Repubblica siano ancora sinonimi e lo siano sempre”, perché “solo da una scuola più giusta, più sicura e più bella può nascere una società migliore”.
Articolo pubblicato su la il 24 Settembre 2020