Calerno, sulla via Emilia tra Parma e Reggio Emilia. Arrivo a scuola, ci sono già assembramenti di genitori in attesa. E la preside. E il sindaco. Tutti più agitati degli alunni, che sbadigliano dietro le mascherine chirurgiche. I lavori di ristrutturazione della scuola non sono terminati.
La parete in cartongesso
Ci accampiamo nella sala civica, divisa da una parete provvisoria in cartongesso: in un’aula una seconda, nell’altra una prima elementare. Per non disturbarsi, occorre parlare sottovoce. Presto avremo aule migliori, promette il sindaco. Intanto la nostra classe pollaio rimane: 26 alunni, tra cui due disabili. Ma con un disabile, non si doveva arrivare al massimo a 20? Risposta mai pervenuta. Azzolina non ha tolto le classi pollaio, ha solo smesso di chiamarle così e le ha dislocate in spazi più grandi. Come se in una palestra quaranta alunni diventassero venti. Chissà che voto aveva in matematica!
Alunni in fila indiana
Alunni in fila indiana con zaino e mascherina. Dovevano essere fornite dalla scuola, ma non sono arrivate a tutti in tempo utile; è stato chiesto a ogni famiglia di fornirne due: una addosso, l’altra in una bustina trasparente sigillata da tenere nello zaino, di riserva.
Il gel
Spruzzo un po’ di gel sulle mani, l’alunno se le sfrega divertito e va a sedersi al banco: le punte delle quattro gambe devono coincidere con i bollini rossi incollati sul pavimento. Spiego le regole di sicurezza. Gli alunni ascoltano distratti, a casa i genitori gliele hanno ripetute mille di volte: gli incontri docenti-genitori dei giorni scorsi hanno funzionato. Nessuno è preoccupato. Anzi, sono proprio sorridenti. Per loro è un gioco. Ancora meglio: un gioco per adulti, da grandi. nulla di più desiderabile! L’importante è che ci sia la scuola vera, in presenza, insieme. Non quella finta che i grandi chiamano scuola ma non lo è: la scuola senza andare a scuola, a distanza, al computer.
Le costrizioni fisiche
Leggiamo insieme. Inauguriamo il quaderno di italiano. Li guardo scrivere. Una cosa è certa: quest’anno avranno più costrizioni fisiche. Qualche papà dice: «Si cresce anche così, soffrendo». Qualche maestra dice: «Tutti dobbiamo fare sacrifici, anche loro». Tutto perché ancora una volta si è risparmiato sulla pelle dei più fragili e indifesi, prevedendo un impegno di fondi e personale centinaia di volte inferiore a quello previsto per le merci. Non c’è Covid che tenga, per faci cambiare idea. Finché li obbligheremo a pagare pegno per il nostro bisogno di accumulo di capitale, andrà così.
Le domande «normali»
Fortunatamente arrivano le domande che fanno di ogni giorno di scuola un vero giorno di scuola. Quando facciamo merenda, maestro? Andiamo fuori a giocare? Il cortile è diviso in spicchi come una grande torta verde: ogni classe ne ha a disposizione una fetta, piccola ma sufficiente per saltare e rincorrersi. Sempre con la mascherina, o finisci in punizione: seduto per cinque minuti. Ma dopo aver trascorso un’estate vedendo turisti accalcati nelle spiagge o a fare la movida e tifosi che si abbracciavano in piazza perché la loro squadra del cuore era stata promossa alla serie successiva, il maestro non ha nessuna voglia di mettere in punizione un bambino di sei anni che rimane con la mascherina appesa a un solo orecchio o non riesce a trattenere la felicità di rivedersi e sfiora giocando un suo compagno di classe.