Da alcune settimane la scuola è diventato un fatto politico: lo stesso prevedere confusione, difficoltà o errori nel riorganizzarne la riapertura il 14 settembre, cioè dopo 200 giorni di chiusura, equivale a schierarsi tra chi vuole la riapertura delle scuole e chi no, tra chi appoggia l’opposizione o il governo.
Tuttavia è difficile non vedere come questa confusione raggiunga spesso effetti surreali, come sottolineato dal direttore della Gazzetta di Reggio sul tema dei trasporti scolastici: compagni di classe e colleghi non possono essere considerati congiunti. Non è solo una per una violazione lessicale, ma logica. E rimanda alla propensione politica allo sforamento sistematico delle proroghe, dei condoni e delle deroghe.
D’altra parte, sulla scuola, il rapporto tra governo e comitato scientifico è sempre stato così.
Prima ci è stato detto che perché ci fosse sicurezza occorreva dividere le classi pollaio. Ma si dovevano assumere troppi docenti.
Allora si è passato al piano B:restano tranquillamente le classi pollaio e mettiamo gli stessi 25-30 studenti in ambienti più ampi. Ma non sempre c’erano queste aule adatte.
Allora si è passati al piano C: allora si è detto che si scherzava con le classi pollaio e la questione aule, andava bene anche così come era sempre stato, basta che ogni alunno avesse la mascherina. Bambini di sei anni compresi, anche per otto ore al giorno.
I genitori degli studenti non sono scemi. Chiunque si è accorto che qui le regole della sicurezza cambiano di giorno in giorno e si procede a un loro progressivo allentamento.
Non credo che ognuno non cerchi di fare la propria parte. Io stesso, come docente di 56 anni, perciò categoria a rischio, farò tutto quello che mi sarà possibile seguendo scrupolosamente le indicazione e gli ordini dei miei superiori. Ma è prevedibile che, comunque andranno le cose, dopo duecento giorni di stop, probabilmente si poteva fare meglio.
E che qualche problemino ci sarà lo si capisce già dal fatto che gli attori in campo hanno iniziato a tirarsi stracci prima del suono della prima campanella: non solo le opposizioni contro la maggioranza, che è fisiologico, ma il ministro dell’istruzione contro i sindacati della scuola, i presidi contro il ministro, i docenti contro i presidi, i genitori degli studenti un po’ contro nessuno e un po’ contro tutti, sbigottiti.
Personalmente credo che questa emergenza metta alla luce problemi vecchi della nostra scuola. Ne vorrei sottolineare almeno due.
Il primo: non si può dire che la scuola, l’università e la ricerca siano delle priorità, poi cercare di risparmiare sulla pelle di bambini e ragazzi: siamo il Paese europeo che vi investe meno, che paga meno i docenti, che anche in questa emergenza Covid ha pensato di investire meno, e anche un po’ a casaccio, sulla formazione; e in modo trasversale, questa politica scolastica accomuna, dal 2008 a oggi, tanto i governo di centrodestra che quelli di centrosinistra che si sono succeduti. Qualcuno ha scritto: Se pensi che la cultura sia costosa, prova con l’ignoranza: ti accorgerai che costa molto di più.
Il secondo: quell’autonomia scolastica (dei singoli istituti scolastici, ma anche regionale) che per decenni è stata sbandierata come un sinonimo di modernità, guardando ora alle nostre scuole, ci appare quasi sintomo di anarchia, di confusione, di tentativo più o meno consapevole di uno Stato, al di là delle belle parole che si dicono e si leggono prima delle elezioni e agli inizi degli anni scolastici, di dismettere la scuola pubblica obbligatoria, libera, laica, gratuita statale: delegandola agli enti locali e/o alle famiglie, con i relativi costi e problemi organizzativi. Tutto questo caotico inizio d’anno scolastico, infatti, sembra predisposto, quasi, perché si torni, più o meno presto, a secondo della fortuna, alla Didattica a Distanza: spacciata lo scorso anno per scuola, anche se non lo è. Paghereste una baby sitter a distanza? O un allenatore di calcio a distanza per vostro figlio? No? E una maestra o un professore sì? Si prevede che quattro adulti su dieci, se dovesse tornare la DaD, perderebbero il lavoro: e probabilmente, come sempre accade in questo Paese, sarebbero donne.
All’inizio dell’estate chiedevo attenzione da parte dei parlamentari reggiani sulla questione scuola. Sono stato accusato di procurare inutile allarme sociale. Adesso che tutti i giornali, di ogni segno politico, pare stiano procurando inutile allarme sociale, credo che per migliorare veramente la scuola pubblica italiana, nonché per renderla veramente sicura e credibile, occorre che tutti i cittadini sappiano che non basterà una dichiarazione a effetto sui giornali, né sacrificare l’ennesimo ministro all’Istruzione, né cambiare o rimpastare il governo in carica, ma serietà: occorrerà investire su figli e studenti almeno quanto si investe sulle merci, cioè molto, e metterci veramente la testa, e avere pazienza, perché occorrerà tempo.
Articolo pubblicato sulla del 29 Agosto 2020