Nonostante tutte le mie buone intenzioni, ho capito poco dell’intervento dell’assessore alla cultura intitolato “Perché la cultura non deve stare al suo posto” pubblicato sulla Gazzetta. E’ senz’altro colpa mia. Che ricordo quando la cultura, in questa città, non stava al suo posto non tanto perché lo si dichiarava, ma perché Pollini andava a suonare il pianoforte in una fabbrica. Fatti, non parole.
Capisco poi che nell’assetto delle proprie deleghe, – dove la Cultura è associata a Marketing territoriale, Pari opportunità e Città senza barriere, – credo sia un caso unico in Italia, ma mica ce lo ha ordinato il dottore, eh? – non deve essere facile fare sintesi e mappe concettuali che non risultino un tantino ardite e spericolate.
Ma ci sono più frasi-spia, nell’intervento dell’assessore, che mi colpiscono e confondono.
Quando si parla di “una visione culturale che, naturalmente, si fa politica”. Chiedo: e se non si fa politica, non è cultura? O tutto è politica? E ancora: cosa vuol dire per un assessorato “creare dissenso creativo contro il rischio di omologazione?” O che la cultura è tale solo “se produce diritti”? Forse si allude a un suo ruolo sociale? Dimenticando che non tutti i problemi sociali (collettivi) possono essere risolti semplicemente riconoscendo gli opportuni diritti (individuali)?
Ma forse, qui, non c’è da capire. Perché cultura, – come diceva l’amico Corrado Costa, – più che ciò che si dice, alla fine è ciò che si fa. Insomma, dopo i proclami attendiamo fiduciosi gli esiti che verranno.
Ma raccomando, di nuovo, a noi tutti, un uso accurato, modico, pudico delle parole. Per esempio, dire che “la visione da cui partiamo” per disegnare la nuova politica culturale cittadina “è una pietra di inciampo” è una esagerazione, una enormità. Specie dopo aver citato Edmond Jabès che ci ricorda come “in un mondo come l’attuale in cui la parola è pronunciata in modo sempre più altisonante, declamatorio, più si parla basso, più si è di disturbo”. Perché questo non è parlare basso. Anzi. Sappiamo tutti cosa è una pietra di inciampo. Il suo tragico significato. Perché paragonarla con clamore addirittura a una visione culturale – ai più, per altro, ancora assai oscura? O forse ci si rifà solo alla speranza espressa dal nostro sindaco qualche settimana fa, quando chiedeva di camminare per la città inciampando negli eventi culturali? Insomma, di quale sovversione, cultura e politica culturale si parla? E come può esserci questo salvifico dibattito e confronto in cui tutti, – assessore alla cultura e sindaco compresi, immagino, – “dobbiamo metterci in discussione e interrogarci, chiedere a noi stessi, donare per ricevere in un circolo virtuoso, non del chiedere utilitaristico o men che meno del pretendere in ragione di un titolo di rendita”, se si parte già ai primi step dell’avventura proiettando sulla massa partecipante di volontari una visione culturale così epocale e invasiva quanto aleatoria?
Articolo pubblicato sulla del 23 Febbraio 2020