Ci risiamo: c’è chi parla dell’insegnamento come una vocazione, non come una professione, un lavoro. Con tutto quello che ne consegue. E’ un salto all’indietro di cinquant’anni in pochi mesi: dall’insediamento del nuovo governo. Chi è costui? Il ministro Marco Bussetti. Intervenuto al congresso nazionale della Fidae, parlando di parità e di autonomia, ha detto che oggi fare una riforma della scuola è impensabile e che “quella del docente non la considera “una professione, ma una missione; e i genitori, oggi, svolgono un ruolo non facile e la scuola è l’unica vera agenzia educativa”.
Detto questo, per essere sinceri, occorre dare ragione al ministro quando parla della tendenza di oggi, all’interno della scuola, “a ‘mettere in bancarella’ quante più cose si possono per attrarre gli studenti, come il bilinguismo alle elementari”. E aggiungere: “L’autonomia ha portato competizione legata anche al numero delle iscrizioni, mentre invece bisogna porre attenzione “alle attitudini dei ragazzi e questo va fatto capire soprattutto ai genitori”. Non è un caso.
Tutto merito della cosiddetta scuola azienda di cui ministri all’istruzione di centrodestra e di centrosinistra hanno parlato a partire esattamente dal 2008, creando danni che continueranno a perdurare per decenni. Peccato che il ministro Bussetti non dica e non faccia nulla di concreto per provare anche solo minimamente a cambiare questa tendenza.