E’ piena di guai. Ma la scuola può ripartire dai valori civili
Ricomincia un nuovo anno scolastico. I problemi sono tanti e gravosi, come sempre. Ma il nuovo governo in carica ci risparmia almeno una nuova riforma epocale della scuola – negli ultimi vent’anni se ne sono succedute una mezza dozzina, e hanno sempre voluto dire tagli al personale e ai fondi.
C’è la mancanza di un preside ogni quattro istituti scolastici. C’è carenza di segretari e bidelli. Ci sono in cattedra ottantamila precari. C’è il caro libri. C’è una offerta formativa sempre più impoverita e standardizzata. C’è un problema gravissimo: solo il 5 per cento delle scuole italiane sono adeguate in caso di terremoto e solo il 42 per cento è a norma riguardo la normativa antincendio.
Poi? Ci sono sempre più genitori che si rimboccano le maniche e pitturano aule e si prendono cura della scuola: di solito se ne parla come di qualcosa di bello, di altamente civico. E lo è, per carità, ma sottolinea anche come la scuola pubblica sia allo sbando. Anche perché dovrebbe, anche se non lo è più da anni, la scuola di cui si parla nella nostra Costituzione: gratuita. Invece si calcola che siano ormai oltre un miliardo gli euro che ogni anno i genitori degli studenti della scuola pubblica italiana versano “in nero” attraverso feste di fine anno, lotterie, tombole, mercatini, lavoro più o meno volontario.
Nulla di buono o bello, dunque?
Be’, ci sono i ragazzi e le ragazze. L’abnegazione, il buon senso e la pazienza di tanti docenti. Ma anche la consapevolezza che proprio all’interno della scuola, oggi più che mai, resiste ancora una idea forte di comunità e batte saldo il cuore della nostra democrazia. In completa controtendenza con il resto della società italiana in cui, nel bene e nel male, è immersa.
Ed è giusto che sia così, per carità.
Non so se l’avete mai notato: quando accadano dei disastri o degli atti criminali, da tutte le parti della società civile si alzano cori che parlano di valori come solidarietà, cura, mutuo aiuto, benevolenza, fratellanza, bene comune. Quegli stessi valori che, senza disastri ed emergenze in atto, vengono beffardamente e inspiegabilmente sostituiti con altri valori che sono spesso il loro esatto opposto: individualismo esasperato, competitività e meritocrazia fratricide, egoismo, massimo profitto, eccetera. Ottenendo un risultato negativo che ogni ragazzo, ogni bambino può cogliere: sono solo parole, sono valori di cui si parla ma sono utilizzati da chi ne parla solo in modo strumentale e insomma, in una parola, utilizzati così non sono più credibili neppure per chi ha sei anni.
Le vere domande da porsi allora sono altre.
Quali sono i nostri veri valori? Quali esempi e quali valori cerchiamo e desideriamo veramente trasmettere, anche attraverso la scuola, ai nostri figli e ai nostri studenti? Cioè a chi verrà dopo di noi?
Ecco, oggi la scuola pubblica italiana vive a pieno questa insanabile contraddizione. Non a caso siamo stati frastornati con l’idea sbagliata di una scuola azienda dove le famiglie degli studenti e degli alunni sarebbero semplici clienti che hanno sempre ragione, anche quando non ce l’hanno affatto.
E all’interno di questa contraddizione, in tante scuole, specie nella nostra città e nella nostra regione, si cerca ancora di parlare dei valori che reggono una comunità non solo quando le cose vanno male e ci sono disgrazie di fronte a cui fare fronte comune, ma anche nei giorni normali. Insomma, ogni giorno. Forse anche perché siamo ormai in un periodo di continua emergenza civile e valoriale.