Come sono state le prime due lezioni con l’esperto di teatro? Cosa avete fatto?
«Belle. Noi ci siamo divertiti a fare le andature».
«Ci siamo rotolati sul pavimento. Abbiamo fatto dei balletti. Abbiamo fatto delle finte. È stato bello».
«Io mi sono rilassato».
«Subito eravamo seduti in cerchio. Dopo ci siamo messi in piedi. Il pavimento dell’aula civica era come il palcoscenico. Però solo metà. L’altra metà c’erano le sedie».
«Una cosa che abbiamo fatto sono… Ci siamo messi a occhi chiusi. Seduto o in piedi. Poi il maestro ci ha messo in sottofondo delle musiche. Prima allegre, veloce. Poi tristi, lente, lentissime. Noi dovevamo muovere le mani, le braccia, le gambe… Insomma, dovevamo muoverci come volevamo».
«Sì, ma non proprio come volevamo. Come la musica. Il maestro ci ha detto che dovevamo essere la musica, quella musica».
«Però io un po’ gli occhi li aprivo per non prendere contro a nessuno».
«Ma guarda che con i piedi non ci si poteva muovere, veh? Bisognava muovere tutto ma rimanere sempre allo stesso posto».
«Io non ci riuscivo bene perché mi veniva da muovere anche le gambe, quando c’era la musica veloce e forte. Non riuscivo a stare fermo».
«Quando la musica era lenta io andavo a rallentatore come la musica che andava anche lei a rallentatore».
«Mi sono divertito con la musica forte perché c’erano dei salti e anche io, allora, facevo dei salti. A me piace molto saltare».
«Io subito avevo un po’ di vergogna, a muovermi come volevo. Perché non sapevo come muovermi. Perché non sono abituato a muovermi senza regole. Infatti mi muovo sempre, quando ci sono delle regole. Invece, senza regole, avevo paura di sbagliare. Cioè, non sapevo come muovermi. Veramente. Però mi sono mosso ugualmente. Ci siamo mossi tutti. Nessuno è rimasto fermo immobile, quando c’è stata la musica».
«Era un po’ come un balletto libero, per me» – «Non è vero che non c’erano delle regole, solo che ce ne era solo una: che tu eri la musica».
So che avete fatto anche tante andature…
«Sì. Sono state belle. Quelle degli animali sono le mie preferite. L’oca, il cavallo…».
«Anche le andature del vecchio gobbo che cammina piano piano, abbiamo fatto».
«A me sono piaciute anche le fotografie di gruppo. Anzi, no, le sculture. Quando tu, maestro, ci hai fatto le foto».
«La rabbia è stata bellissima. Prima si trovava il titolo, il nome di un sentimento come la felicità, la noia, la rabbia. Poi iniziava uno a fare la prima statua e tutti gli altri della sua squadra, uno a uno, dovevano attaccarsi a lui e agli altri e la statua si ingrandiva sempre più diventava grande come tutto il palcoscenico davanti al pubblico, sia a destra sia a sinistra, perché doveva essere bilanciata come diceva il maestro…».
«Sì, però non potevi proprio attaccarti a caso, eh? Perché se il tema era la rabbia, se il titolo era la rabbia, quando ti attaccavi all’altro dovevi fare una faccia arrabbiata, un gesto arrabbiato, molto arrabbiato…».
«E se invece eri nell’altra squadra e dovevi fare la noia o la felicità, dovevi fare delle pose e delle facce della felicità o della noia».
«La noia però è più facile da fare della felicità perché sei felice meno volte, invece ti annoi di più».
«Anche la rabbia era facile, allora».
Ho sentito che qualcuno all’inizio si è vergognato… Mi dite gli altri sentimenti che avete provato?
«Anche io la vergogna, ma solo all’inizio».
«Io sentivo un sentimento di libertà. Mi immaginavo di essere in un campo pieno di fiori».
«Io pensavo che per fortuna tutti avevano gli occhi chiusi e non vedevano i miei movimenti, o non so se li facevo…».
«Per me è stato bello provare a fare le voci di Biancaneve e della Strega, l’altra volta, ma per me è più facile fare la voce cattiva di quella buona. Non so perché».
«Mi sono divertito. Quando c’era la musica più triste mi sono rilassato».
«A me è piaciuto quando mi sono sdraiata a terra e poi le sculture perché ci toccavamo tutti e saltava fuori una scultura vivente grandissima, bellissima».
«A me non è venuta la vergogna perché poi è stata una cosa bella, naturale, come la ginnastica».
«Mi sono sentito stanco a muovermi sempre perché forse mi muovevo sempre troppo veloce».
«Per me non è difficile fare teatro, ci vuole solo un po’ di equilibrio».
«Il maestro ci ha detto che per fare il teatro ci vuole l’ascolto, la concentrazione ma io non riuscivo ad ascoltarlo bene perché c’era sempre qualcun o che parlava sottovoce».
«Mi è piaciuto tutto. Io spero che questo corso di teatro a scuola non finisce mai».
(il Manifesto – 3 Maggio 2018)