Davide Zanichelli liquida la “cabina di regia” su cultura e marketing territoriale in modo sbrigativo. “Cosa ci dice la storia degli ultimi due decenni di Reggio? Che questo modello qui non è praticabile”. Perché? Risposta: perché a Reggio in tanti ci hanno provato e hanno fallito. E allora? Riprovateci, diamine! Se non altro perché il fare rete è, da almeno due decenni, per tutti gli amministratori reggiani che si sono succeduti, il nostro problema non risolto n.1 rispetto alle città vicine che sono cresciute.
Ma per Zanichelli, anche solo il parlarne, non servirebbe e non sarebbe interessante? Per lui, forse. E ci parla dei tre pilastri della saggezza di “un pensiero non verticistico ma distributivo”: l’amministrazione pubblica (luogo delle risorse), i privati (luogo della partecipazione economica), le Fondazioni (luogo della progettazione culturale e di sintesi auspicabile tra pubblico e privato). Dunque, l’amministrazione pubblica delega la progettualità e, fondamentalmente, paga; da qui l’abolizione di assessorato cultura con funzione di rete tra istituzioni culturali. Anche se il modo di lavorare prima dell’ultimo ventennio, appunto, era esattamente opposto. Tra l’altro, aggiungo, facendo saltare una progettazione radicata in seno all’amministrazione, si rischia di perdere il tratto distintivo di elaborazione collettiva e partecipativa che dovrebbe contraddistinguerla rispetto a quella di una qualsiasi azienda privata. All’insediamento della prima e della seconda giunta Delrio, per esempio, c’erano stati gli Stati Generali della cultura reggiana: In ascolto. Oggi? Nulla. Mi chiedo: siamo ancora la città delle persone o no? Se chi lavora nelle istituzioni culturali è solo un esecutore testamentario di progetti altrui, di che cultura e socialità e partecipazione e città delle persone stiamo parlando?
Il secondo pilastro: i privati. Domanda secca: perché Maramotti o chi per lui, dovrebbero investire su progetti culturali e di marketing territoriale che non fanno rete come nelle città a noi vicine, per esempio coi loro festival? Specie quando lui e la sua Fondazione, da soli, fanno da anni meglio e di più di Palazzo Magnani? Basterà la presenza nella commissione scientifica di Palazzo Magnani di Belpoliti?
Terzo pilastro: le Fondazioni. Zanichelli disegna un mondo culturale che si gioca sulla qualità intesa innanzitutto come rapporti tra Fondazioni: I Teatri, la Danza, Palazzo Magnani. E poi, magari, Mazzotta, la Maramotti e altre che verranno. Sicuri che siano solo le Fondazioni i luoghi di progettazione culturale di una città? Non saranno troppo pochi? Cultura non è anche un processo che può essere creato, pensato, inventato da un’intera comunità? A Reggio non dicevamo che cultura è essenzialmente quello che si fa e come si fa? A partire dal lavoro? Ancora: tra le Fondazioni reggiane, Zanichelli dimentica di parlare di Reggio Children: come si fa a fare seri progetti culturali e di marketing territoriale senza partire da lì? Dal nostro brand numero uno?
Vent’anni fa. Parliamone, invece. Buona parte della nostra vita culturale è legata, nel bene e nel male, alle sorti del Pci, poi Ds, poi Pd. Con la nascita a freddo del Pd avviene la separazione tra formazione (Reggio Children, Ds) e cultura (Assessorato Catellani, Margherita). Da allora tanti amministratori hanno cercato di rimetterle insieme le due parti perché hanno rappresentato da sempre la nostra forza e identità. Invece la mano sinistra e la mano destra continuano anche oggi a muoversi senza che nessuno veda l’altra. Tutte le amministrazioni hanno fallito. Per vent’anni. Zanichelli ha ragione. Ma ciò non significa che si debba fallire all’infinito. Come sembra si sia rassegnato Zanichelli. Chiediamoci perché hanno fallito. Seriamente. Insomma, facciamoli, ‘sti Stati Generali della Cultura! E’ vero, l’identità culturale di una città si costruisce coi tempi necessari e puntando sulla qualità, Zanichelli, ma anche discutendo insieme. Seriamente. Senza paura.
(Gazzetta di Reggio – 5 Dicembre 2017)