Qualsiasi docente italiano deve, tra le altre cose, insegnare ai suoi studenti – bambini o ragazzi – a diventare buoni cittadini italiani. La riforma dell’esame di terza media in cui entra come materia di interrogazione anche la Costituzione lo sottolinea.
Ma c’è un però. Alcuni di questi alunni e studenti non sono considerati dallo stesso Stato cittadini italiani. La domanda viene spontanea: che senso ha? È anche per questo che è soprattutto dal mondo della scuola e dai docenti italiani che è stata risollevata con vigore la questione dello ius culturae. E, in particolare, dell’assurdità che rappresenterebbe l’ennesima non approvazione di questa legge.
Si dice che la maggioranza degli italiani sarebbe contraria, pur non sapendo bene di cosa sta parlando. Non è tutta colpa degli italiani: ci sono giornali e politici che da mesi e mesi non fanno altro che confondere le acque e confondere le idee; affermando, addirittura, che votando no allo ius culturae diminuirebbero non solo i furti ma anche gli stupri. Cose indegne di un paese civile.
La prima domanda da farsi è: con l’approvazione dello ius culturae promuoveremmo di più l’integrazione? La risposta è sì. Non c’è nessuno, anche tra i più accaniti oppositori, in grado di sostenere il contrario.
La seconda domanda allora è questa, inevitabile: la maggioranza degli italiani vuole più integrazione e pacificazione sociale o più odio sociale? Chi lavora e frequenta la scuola non ha dubbi. Sul tema dell’integrazione sociale la nostra scuola pubblica è anni luce più avanti della cosiddetta società civile.
(24emilia.com – 12 Ottobre 2017)